lunedì 22 marzo 2010

L'ultilità del non piacere

Quasi sempre durante i nostri allenamenti abbiamo la tendenza a concentrarci su alcuni movimenti piuttosto che su altri e generalmente dedichiamo la maggior parte del nostro tempo a lavorare sugli esercizi e i movimenti in cui ci sentiamo più portati. Questa tendenza ovviamente crea una disparità nel nostro modo di praticare, non solo perchè saremo decisamente forti in alcuni aspetti e molto meno in altri, ma anche perchè il nostro modo di praticare, di osservare e vivere l'ambiente che ci circonda sarà necessariamente forzato dai nostri "vizi" e dalle nostre virtù.
Se proviamo un'immenso piacere nel fare salti di precisione, ogni volta che ci alleneremo in un posto nuovo tenderemo a considerare o meglio a cercare quasi esclusivamente ostacoli che possano adattarsi alla soddisfazione del nostro desiderio. E' come se avessimo degli occhiali speciali che ci permettono di mettere a fuoco alcune cose, mentre tutto il resto ci risulterà inevitabilmente sfocato.

Come possiamo ben capire questo rappresenta un grosso limite non tanto sul piano puramente fisico quanto su quello mentale. C'è un motivo per cui tendiamo a prediligere alcuni aspetti della disciplina piuttosto che altri. Quando ci troviamo ad affrontare un movimento a noi ostico inconsciamente tenderemo a sostituirlo con un movimento più congeniale, questo è un meccanismo di difesa che ci permette di risparmiare energie preziose e ci porta a porre maggiore attenzione su ciò in cui siamo più bravi. Questo meccanismo è ancora più accentuato poiché nella società in cui viviamo siamo forzati a costruirci delle conoscenze e delle capacità estremamente settoriali e specializzate in quasi ogni aspetto del nostro vivere, dal lavoro allo sport.

A tutti noi è capitato almeno una volta di pensare di essere più portati per un movimento piuttosto che per un altro, o di essere maggiormente predisposti in tecniche o esercizi che richiedono ad esempio un uso preferenziale della forza massima rispetto a quella rapida o viceversa.

Attenzione.

Questo modo di pensare nasconde una grossa trappola. Dare per scontato di non essere in grado di migliorare in alcuni aspetti della pratica sportiva ci porta a trascurarli e ci pone nella condizione di limitare tantissimo la nostra esperienza e la nostra capacità di osservazione e di apprendimento emotivo ed empirico. Pensiamo ad esempio ad uno dei limiti più grandi che questa cattiva pratica comporta.

Quando ci alleniamo in un posto nuovo, ma spesso anche nei luoghi che siamo soliti frequentare, abbiamo 2 possibilità di azione; possiamo muoverci in base a ciò che crediamo essere in grado di fare oppure possiamo farlo senza usare la razionalità, senza pensare con la mente cosciente ma lasciare che sia il corpo a pensare per essa.
E' questo il fine ultimo della pratica sportiva del parkour. Pensare con il proprio corpo. Cerco di spiegarmi in modo semplice.
Quando affrontiamo un percorso dobbiamo essere in grado di muoverci avendo chiara la meta da raggiungere, spesso però in questo atto pensiamo a quale movimento fare per superare un certo ostacolo o con quale gamba staccare per fare quel wall run, è la mente che si pone questi interrogativi e quando ciò avviene non possiamo essere efficaci e utili, rischiamo di fermarci, di bloccarci e di perdere di vista la nostra meta. Quando è il corpo a pensare tutto questo non avviene, il parkour diventa come correre, come scrivere o come camminare qualcosa di completamente naturale; è proprio in questa semplicità e naturalezza che intravedo quella libertà che molti invece vedono nel riuscire a padroneggiare tricks e nel trarre piacere da essi.

E' importante quindi dedicare del tempo ad allenare ciò che solitamente non ci piace fare e questo vale per ogni aspetto della disciplina.
Ci piacciono molto i cat leap ma non ci sentiamo molto bravi nei salti di precisione? Basta cat, dedichiamo del tempo ai precisions. Siamo fortissimi nei piegamenti ma la quadrupedia non ci è mai andata a genio? Mettiamo momentaneamente da parte i piegamenti. Ci piace molto allenarci in compagnia a tal punto che quando siamo soli ci annoiamo e non riusciamo a fare granchè? Lavoriamo su questo, dedichiamo dei giorni a noi stessi ad allenarci da soli, scopriremo di avere delle risorse inaspettate.

La bacchetta magica non esiste. Tutto questo sarà difficile, dovremo affrontare lo sconforto e la delusione di non sentirci capaci, di non sentirci bravi o di non divertirci affatto, magari pensiamo a quel nostro amico che non ha difficoltà in quella determinata tecnica o che riesce ad allenarsi bene sia in gruppo che da solo; pensiamo in piccolo, partiamo dal basso concentriamoci sul nostro presente, senza pensare a ciò che desideriamo essere; mettiamo da parte tutto il resto e riusciremo ad essere felici di ciò che facciamo.
E quando si è felici, quando si pratica con gioia non c'è salto, tecnica o difficoltà che possa riuscire a sormontarci.

Buon allenamento.





5 commenti:

  1. OTTIME PAROLE,davvero.e' bello sapere che ce' qualcun'altro che riflette davver sul parkour e non solo guardando video e tricconi su youtube.come sempre le parole sono riduttive e limitanti,altrimenti scriverei un commento lungo quanto un post:).un giorno sarebbe bello allenarci insieme.ghost

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  2. parole santissime, Axel sensei.
    quante volte mi era capitato di bacchettare il buon vecchio Xeno che voleva fare solo salti di precisione?!
    il feedback positivo è che più sei bravo a fare una cosa e più ne trai piacere, traaack, caduto nella trappola!
    si, spesso bisogna fare mente locale e allenare la parte più atrofizzata, per crescere come una sfera e non come una piramide..
    d'altra parte il mettere da parte l'io cosciente e far pensare il corpo (il fantomatico stato di flow), non è mica una roba semplice.. è il satori del traceur, la nostra meta finale. E dico poco!
    ;)

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  3. Sembra una cosa tanto facile a dirsi quanto difficile a farsi. Come dice Gato, è una questione di feedback, ma fare una cosa senza il minimo feedback è quasi masochismo, come ce lo si può imporre?

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  4. Edo non so come rispondere con "certezza" alla tua domanda, ma credo che sia qualcosa che si affina e migliora con il tempo e la costanza, qualità che spesso sottovalutiamo a discapito di allenamenti spesso "distruttivi" e basta. La verità, se c'è, va cercata nella via di mezzo.

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  5. dopotutto se sono arrivato io a fare queste riflessioni e a cercare di sciogliere e smussare alcuni angoli della mia pratica vuol dire che chiunque può arrivarci e non per tirare acqua al mio mulino ma anche qui credo che molto dipenda dalla via che percorriamo (via della forza o via della bravura) come o scritto in un'alto post :)

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