lunedì 21 febbraio 2011

Craftsmanship - Maestria

Spesso mi fermo a riflettere su come in questi anni di pratica abbia fatto numerosi progressi e ancor più spesso noto, a volte con stupore, quanto veloci siano nell'apprendimento le nuove generazioni di traceurs. Oggi chi si approccia al Parkour e all'ADD può ritenersi fortunato rispetto a 7-8 anni fa quando il Parkour in Italia era ancora una disciplina relegata ad un numero minuscolo di persone e quando scrivendo "Parkour" su youtube l'unico video che compariva era un famoso spot pubblicitario con David Belle.

Oggigiorno le giovani leve hanno appunto una doppia fortuna:

  • un numero praticamente infinito di materiale a cui attingere;

  • persone più esperte che possono accompagnarle nel proprio percorso di crescita;

Questo in parte spiega il perché oggi un ragazzo che inizia a praticare Parkour in pochissimo tempo raggiungerà dei risultati che io ed altri miei coetanei abbiamo impiegato molto più tempo ad ottenere. Questa naturalmente è una questione molto sentita da chi come me è cresciuto avendo pochissimi esempi a cui fare riferimento e molte meno occasioni per incontrare e scambiare opinioni con altri praticanti più esperti. Rispetto alle possibilità che ci sono oggi.

A conclusione si potrebbe dire che i ragazzi oggi sono più fortunati?

Naturalmente non sono tutte rose e fiori, se è vero da una parte che oggi è estremamente facile avere stimoli nuovi è anche vero che in realtà questo processo di apprendimento veloce non è sempre il miglior modo per crescere, anzi, il cammino sulla strada della forza è un cammino lento e consapevole, non una corsa frenetica (approfondimento sul mio articolo). Se da un lato il materiale disponibile in rete è tantissimo, d'altra parte questo materiale è spesso purtroppo di pessima qualità educativa, sia perché trasmette un messaggio pedagogicamente sbagliato, sia perché chi si lascia trascinare da questo vortice di informazioni non ha il tempo sufficiente per apprendere e fare realmente proprio un movimento, un esercizio o un concetto.

Ci sono ragazzi giovanissimi che oggi eseguono tantissimi movimenti, spesso molto complessi, ma sostanzialmente sono tutti movimenti tecnici già visti, già fatti da altre persone. Molti praticanti di oggi si limitano al mero apprendimento per imitazione il che non è di per se sbagliato, ma lo diventa se a questa fase non segue una fase di riflessione e di auto-consapevolezza di ciò che si sta facendo:

“è realmente questo il movimento migliore per superare questo ostacolo? ”;

“Posso essere più veloce di così?" .

E' solo questa fase di riflessione che porta poi ad un cambiamento della nostra pratica e quindi all'adattamento della tecnica o addirittura alla creazione di un movimento nuovo. L'apprendimento per imitazione inoltre non tiene presente un concetto fondamentale per noi traceurs ovvero la variabile ambientale. Questa variabile condiziona tutto il nostro modo di praticare. Pensateci bene, se ci alleniamo solo in posti con ostacoli molto ravvicinati acquisiremo una buona fluidità ma magari non riusciremo ad essere veloci e resistenti per affrontare ostacoli molto distanti tra loro mantenendo la corsa e lo stesso vale per il contrario.

Allo stesso modo la tecnica da usare per effettuare un wall-run su un muro asciutto deve essere necessariamente diversa rispetto a quella che potremmo usare per quello stesso muro in condizione di bagnato pesante. Come vedete non è solo importante trovare la soluzione al problema "superare il muro", ma è altrettanto importante trovare il problema stesso: muro bagnato, muro più alto, muro con sopra un tubo, muro sconnesso ecc...) In questo processo usciamo dalla ripetizione meccanica della tecnica ed utilizziamo quel momento di riflessione di cui parlavo prima per poter cambiare la tecnica e risolvere il problema.

Se risolviamo un problema avremo una soluzione, se troviamo 100 problemi legati alla domanda "come supero il muro?" avremo 100 soluzioni; in questo modo otterremo la vera padronanza della tecnica che ci permetterà di praticare veramente noi stessi, di esprimerci in ciò che facciamo senza limitarci ad imitare un movimento che abbiamo visto eseguire da qualcun altro. Cercare i problemi e superarli ci da anche una dimensione più profonda di quello che facciamo: so quello che sto facendo.

Questo processo però richiede tanto tempo e molta attenzione per poter essere messo in pratica, ma ha un enorme vantaggio: non abbiamo più bisogno di fermarci a pensare se utilizzare una tecnica piuttosto che un'altra, perché disponiamo di un bagaglio di soluzioni che ormai abbiamo acquisito e rese nostre. Tutto ciò permette di comprendere quanto all'interno di un percorso di apprendimento sia molto più importante il processo che la rapidità.

Il ripetere allo sfinimento una tecnica è un ottimo modo per impararla, ma occorre fare attenzione affinché la ripetizione abbia un'utilità diversa che vada oltre il concetto dell'imparare un movimento. Ciascuno di noi ha esigenze diverse e dovrebbe porre attenzione nel cercare un proprio ritmo d'apprendimento piuttosto che forzarsi a seguire un ritmo imposto da ciò che vediamo fare ad altri; un ritmo che magari non riusciamo a seguire e che ci fa scontrare spesso con la frustrazione.

Possiamo riassumere questo processo con questo schema che ripetuto all'infinito diventa uno schema circolare:

Assimilazione tecnica → approfondimento, riflessione → Variazione/Creazione del movimento

oppure

Movimento → Creazione del problema → Nuovo Movimento

Le parole di Richard Sennett in merito a questo processo sono molto chiare:


"Questo particolare ritmo si articola in tre fasi:

fare una cosa, pensarci su e farne un’altra.

Il risultato è che possiamo sviluppare un numero

maggiore di tecniche per realizzare lo stesso compito,

fino a ottenere un intero repertorio di competenze.

Tale ritmo, che sta alla base dell’apprendimento di

qualsiasi tipo di competenza, implica lentezza"


Rendersi conto di questo concetto è fondamentale, perché questo porta ad acquisire la maestria su ciò che facciamo, solo in questo modo la disciplina diventa veramente nostra, solo attraverso questo lento processo possiamo considerarci liberi. L'agognata libertà che tutti noi vediamo nel Parkour non sta forse nell'usare il nostro bagaglio di competenze e di movimenti per muoverci a mente sgombra?

Quanti di voi pensano quale piede muovere per primo mentre state facendo una passeggiata ammirando un bel tramonto o la bellezza di un paesaggio? Il Parkour è proprio questo, essere liberi di godere del mondo a mente sgombra senza tenere la testa bassa e pensare razionalmente e ossessivamente a cosa stiamo facendo, ma per poter raggiungere questa padronanza c'è bisogno di tempo, pazienza e pratica.

Buon allenamento a tutti.

Alessandro 'Ax' Pennella

PS: questo articolo è da considerarsi come l'appendice del precedente - Fuori dalle Gabbie

fonti di ispirazione:

L'uomo Artigiano di Richard Sennett

Diluition di Chris 'Blane' Rowat

Passeggiata in riva al mare guardando le onde che giocano con la terra


Postato originariamente su rhizai.it

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